sabato 21 giugno 2008

Quando guardavamo passare i treni

Una bimba è venuta in palestra ieri, è rimasta a guardarci dietro il finestrone (palestra figa con pareti a specchio tipo sala interrogatori di CSI) e poi, quando ha riconosciuto la sua mamma, ha cominciato a battere le manine contro il vetro.

Non ho resistito: le sono andata di fronte e ho cominciato a battere contro il vetro pure io, le mie mani proprio sopra le sue (OK, la parete non è a specchio, è trasparente. Non vi attaccate al dettaglio adesso).
Gli occhi le si sono spalancati dalla meraviglia, che questa signora grande (ahimè) giocasse con lei.

E mi sono ricordata di quando eravamo piccole e passavamo lunghe estati in Abruzzo, in una casa che affacciava direttamente sui binari della ferrovia. Allora uno dei nostri giochi prediletti, quando sentivamo passare il treno, era correre al balcone e fare ciao ciao con la manina.
Io in punta di piedi, con il naso che arrivava appena a filo del parapetto. E mia sorella, pagnotta, in braccio a mia madre. E un giorno, al tramonto - era ancora chiaro, ma le luci nei vagoni si erano già accese - qualcuno ci ha ricambiato, e ha fatto ciao ciao a noi.

Ricordo mia madre raccontare l'episodio, ridendo felice per la meraviglia che aveva riempito gli occhi sgranati di mia sorella. E non so che cosa mi dà più gioia e malinconia insieme, se lo stupore ineguagliabile di un bambino o la felicità di una madre per una piccola conquista di suo figlio.

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